Insicurezza informatica è insicurezza emotiva?

La Cyber Security è sempre più impegnata nell’arginare i cyberattacchi e nello sviluppare misure di protezione per ridurre il rischio di attacchi informatici. Sembrerebbe essere una questione prettamente tecnica e tecnologica. In effetti difficilmente si trovano riflessioni sugli aspetti emotivi come ulteriori strumenti, in questo caso interiori e relazionali, che chi si occupa di cybersicurezza può sviluppare in se stesso e negli altri.

La sicurezza dei dati informatici e delle informazioni riguarda tanto quella che in inglese viene chiamata “safety” (sicurezza) intesa come un processo che consente di eliminare i danni prodotti nel sistema, quanto la cosiddetta “reliability” (affidabilità), cioè la possibilità di prevenire eventuali attacchi danneggianti. Le persone, in entrambi questi processi, sono fondamentali. Solitamente si dice che le persone siano un punto fondamentale del processo della Cyber Security: dagli esperti informatici ai fruitori dei sistemi digitali, tutti hanno l’importante ruolo di essere consapevoli delle minacce informatiche. In realtà non è sufficiente la consapevolezza, che tra l’altro non è semplicemente un affare razionale, ma inevitabilmente coinvolge anche l’emotivo.

Come ogni animale, anche l’essere umano quando percepisce una minaccia reale o presunta, attiva aree cerebrali, sistemi fisiologici e biochimici nel corpo, che informano tutto l’organismo nel prepararsi ad affrontare ciò che sta accadendo. In termini semplici, di fronte a un attacco si prova paura, che può essere lieve o diventare addirittura un’ansia persistente o sfociare in attacchi di panico. Abbiamo già parlato in altri contributi del modo in cui reagiamo alla paura (scappare, attaccare, bloccarsi). Gli attacchi informatici sono percepiti a livello fisico e mentale proprio come una minaccia alla propria incolumità fisica o un ladro che entra a rubare in casa nostra. Chi ha purtroppo avuto la sfortuna di subire questi tipi di minaccia sa che si tratta spesso di veri e propri traumi, che oltre a essere spaventosi in sé, portano strascichi di paure, rabbie, insicurezze, che richiedono tempo ed energia per essere elaborati interiormente. E sa anche che, parlando con altri di ciò che è accaduto, è facile che paura, rabbia e insicurezza si diffondano rapidamente anche in chi è vicino, per un processo di immedesimazione, che fa sentire tutti quanti sulla stessa barca.

E in effetti sulla stessa barca ci siamo tutti, è innegabile.

Come fare allora?

Sappiamo che chi ha le competenze tecniche lavorerà per rendere i sistemi sempre più sicuri, ma sappiamo anche che la sicurezza informatica non è mai raggiunta una volta per tutte. D’altra parte anche nella vita la sicurezza non è uno stato che si raggiunge, di solito diventa un desiderio a cui si aspira. Ed è proprio qui, dal desiderio, iniziano i veri problemi.

So che sto scrivendo qualcosa di impopolare e per qualcuno persino bizzarro, ma se ci riflettiamo bene, quando desideriamo qualcosa, abbiamo contemporaneamente paura di non ottenerla. È il desiderio a produrre la paura. Quando desideriamo qualcosa è perché pensiamo che quella cosa sia per noi una cosa che ci farà finalmente sentire bene, al sicuro, orgogliosi di noi e così via. Per esempio, se desideriamo la sicurezza informatica, iniziamo a pensare che sia possibile raggiungerla e il pensiero di perderla ci crea una paura profonda, mina la nostra sicurezza di vita. Lo stesso vale per la sicurezza all’interno di una relazione di coppia o per qualsiasi altro ambito.

L’insicurezza informatica è allora insicurezza emotiva?

Dipende. Se quella insicurezza informatica è dettata dal desiderio di sicurezza digitale, che speriamo di raggiungere per poter star bene, allora cadiamo nell’insicurezza emotiva, nel dipendere emotivamente da quel desiderio per poter star bene.

Molti saggi predicano il “non attaccamento” alle cose e alle persone: non attaccamento significa poter prendere le cose per ciò che sono. Se piove e desideravo il sole è facile che, vedendo l’acquazzone, mi arrabbi, mi intristisca, etc. Se piove e prendo atto che le cose sono così, posso in serenità munirmi di ombrello, decidere di camminare sotto l’acqua o far altro. So che l’obiezione potrebbe essere: qui non si tratta di un po’ di acqua, ma per la Cyber Security si tratta di soldi, di informazioni importanti! Se ci pensiamo bene però il discorso è lo stesso, la posta in gioco è considerata molto alta, ma perdere di lucidità e serenità interiore non farà altro che rendere più difficile il processo della sicurezza, a volte potrebbe persino ostacolarlo. Pensate a un diffondersi rapido tra persone della paura di un probabile attacco informatico, si rischia di perdere la testa e quindi soldi. Perché si diffonde questa paura? Perché tutti desideravamo sentirci al sicuro, credevamo nella sicurezza come uno stato raggiunto. La vita non è mai sicura per definizione e accettarlo è ciò che di più liberatorio possa esserci. Ed è anche ciò che ci rende più creativi nel generare azioni efficaci per la Security.

Fonte: Snewsonline.com